Chiunque sia andato a mangiare sushi, anche solo una volta, non può non ricordare il gusto pungente del wasabi, quella pasta verde chiaro che viene messa tra lo gnocchetto di riso e la fettina di pesce crudo. A volte lo si ricorda anche con disgusto tanto è il quantitativo che qui da noi a volte si usa per coprire il sapore di pesce non proprio freschissimo.
Se si aggiunge poi il titolo di un film d’azione di un popolare regista francese, si può ben dire che il wasabi sia uno degli ingredienti più conosciuti della cucina giapponese.
Ciò che forse non molti sanno è come il wasabi sia fatto in quanto non è probabilmente mai stato visto in formati diversi da quello in pasta o in tubetto.
Gli appassionati di cucina tedesca e francese possono facilmente equiparare il wasabi al cren, o rafano, e infatti anche il wasabi altro non è che una radice, il rizoma di una pianta che viene grattugiata con grattugie di varia forma e dimensione e utilizzato per insaporire un buon numero di preparazioni di piatti giapponesi. Non solo il sushi, naturalmente.
La pianta che da’ vita alla radice del wasabi vive nell’acqua corrente. Se l’acqua non ha un certo grado di purezza il wasabi non può crescere, e più l’acqua è pura, migliore sarà il wasabi. Le piantagioni di wasabi si trovano abbondanti nella provincia montuosa di Nagano, dove viene coltivato nel greto dei torrenti alpini (nella provincia di Nagano ci sono infatti le cosiddette Alpi Giapponesi). I ciottoli di granito nero dei greti di questi fiumi poco profondi di acqua cristallina, vengono letteralmente “pettinati” in solchi strutturati a spina di pesce fatti apposta perché l’acqua vi possa scorrere dentro liberamente. I greti dei fiumi finiscono così per assomigliare a lunghissime lische coperta da acqua limpida e gelida da cui spuntano le verdi foglie del wasabi.
Lì a Nagano-ken, col wasabi ci fanno un po’ di tutto, dal mochi al soba. Posso giurare di avervi mangiato anche un delicato gelato al gusto wasabi.
In realtà, oltre al più classico utilizzo nella preparazione del sushi, il wasabi si usa anche per insaporire la salsa in cui vengono immersi gli spaghetti di soba prima di essere mangiati nel zaru-soba. Viene inoltre aggiunto ad alcuni tipi di sembe, ai kaki-no-tane, conferendo a questi snack un gusto particolarissimo e nella preparazione di alcuni furikake, il mix di aromi che si usa per insaporire il riso in bianco (gohan).
Il wasabi fresco viene grattugiato utilizzando un particolare attrezzo.
Si tratta di una specie di raspa con le punte accuminate ma appena in rilievo, che riducono la radice nella tipica poltiglia che può poi essere consumata in vari modi. I grattugini tradizionali, di forma simile a quelli della foto sopra, sono fatti in legno e ricoperti di un quadrato di pelle di razza, la cui ruvidezza funge alllo scopo. Proprio per la sua abrasività, la pelle di razza veniva utilizzata in passato per rivestire l’impugnatura delle katana, assicurando al samurai che le brandiva una presa formidabile.
Molto più economico e pratico è invece il wasabi in tubetto. Quelli più a buon mercato sono di solito ottenuti con wasabi essiccato, ridotto in polvere e poi impastato nuovamente con acqua. Quelli di fascia più alta, sono invece apparentemente fatti di wasabi fresco grattugiato, tanto da riportare la dicitura nama wasabi (生わさび), wasabi fresco per l’appunto.
Il wasabi, ormai anche da noi, si trova comunemente in comodi tubetti pronti all’uso. In Giappone lo vendono anche in formato-radice nel reparto frutta e verdura. Ovviamente il sapore, anche se quello in tubetto non è male, è tutta un’altra cosa.