A parte rare eccezioni nelle grandi città, tra il personale dei ristoranti giapponesi in Italia non c’è quasi mai un giapponese. Soprattutto in cucina. Al massimo c’è una studentessa giapponese di musica o di lingua italiana che lavora come cameriera per “salvare le apparenze”.
Spessissimo i presunti ristoranti giapponesi sono di proprietà cinese. Messi in crisi da una sempre maggior diffidenza verso i prodotti cinesi (vedi corona virus, sars, melamina, ecc), molti ristoranti cinesi hanno deciso di trasformarsi in ristoranti giapponesi. La cucina giapponese è infatti di gran moda. Grazie allo stereotipo del raffinato minimalismo, al salutismo, al glamour delle star, la cucina giapponese è sempre più sulla cresta dell’onda.
Sia chiaro, non ho niente contro la cucina cinese in generale. Se ben preparata con prodotti di qualità è tra le più gustose al mondo. La gente è però putroppo abituata a pagare cifre irrisorie per mangiare pessima cucina cinese. Per alzare la qualità i ristoranti cinesi dovrebbero alzare i costi, che la clientela media non è disposta a pagare.
Invece per una cenetta a base di pesce crudo in un ristorante giapponese, il cliente medio è disposto a pagare di più.
Ristoranti cinesi travestiti
La cosa è paradossale. Un cliente che non si fida ad andare a mangiare in un ristorante cinese per i soliti motivi, è invece tutto contento di andare in un ristorante cinese travestito da ristorante giapponese. Dove servono pesce crudo, alimento con il quale è bene non scherzare.
Anche se hanno alcuni ingredienti in comune cucina cinese e cucina giapponese sono diversissime. Una delle principali differenze sta nel metodo di cottura. La preparazione dei piatti cinesi prevede spesso cotture ad alta temperatura: frittura, vapore o wok, con la sua speciale forma per concentrare il calore. I cinesi, per motivi storico-culturali (gli ormai famigerati “wet market“), hanno sviluppato una cucina che abbatte la carica batterica delle materie prime con l’alta temperatura.
Cucina cinese Vs cucina giapponese
Non sto dicendo che la cucina cinese sia sempre preparata con cibo contaminato o avariato, ma che la sensibilità di un cuoco cinese per preparazioni a crudo come sushi e sashimi non sia delle migliori. I cinesi poi, in generale, odiano carne e pesce crudo. Ed è uno dei motivi per cui i nostri salumi, nonostante i tentativi di conquistare il mercato cinese, faticano a decollare in quel paese.
Ciò significa che i cuochi cinesi, quando scelgono le filiere dove si approvvigionano di pesce crudo, quando lo trasportano, conservano, maneggiano, quando puliscono e manutenzionano strumenti da cucina come coltelli, taglieri e ripiani, non avranno la stessa attenzione che avrebbe chi con la cultura del crudo è cresciuto e si è formato.
Per non parlare poi delle altre materie prime. Difficile pensare che un ristorante a gestione cinese acquisti riso, aceto, salsa di soia, sake, olio per il tempura, renkon, germogli di bambù, moyashi (germogli di soia), tofu, ecc., in circuiti diversi da quelli che forniscono i ristoranti cinesi. Che sono molto economici, e forse non sempre a norma.
Sappiamo bene che i prodotti freschi sono inevitabilmente costosi. Specialmente il pesce. Basta vedere i prezzi in pescheria, o in un ristorante occidentale che serva crudités. Siamo sicuri che i gestori cinesi siano disposti a sacrificare il proprio margine di guadagno per garantire, sempre e costantemente un prodotto eccellente? A chi poi? A una clientela che tanto, sotto sotto, di vera cucina giapponese ne capisce poco.
Ecco quindi che bisognerrebbe valutare bene, se proprio vogliamo andare a mangiare giapponese, dove, come, da chi e con che cosa i nostri piatti vengano preparati.