L’idea di rilasciare un certificato di autentica cucina giapponese per i ristoranti all’estero era venuta a Toshioka Matsuoka, ministro dell’agricoltura del primo governo Abe. Era il lontano 2006.
Si era nel pieno del boom della cucina giapponese, in tutto il mondo spuntavano come funghi sushi bar che di giapponese avevano solo solo il nome, spesso scritto sbagliato.
Nasceva così l’idea di istituire un Comitato per la Valutazione della Cucina Giapponese all’Estero.
L’intento era quello di tutelare l’autentica cucina giapponese. I parametri di valutazione riguardavano tutti gli aspetti della ristorazione: la scelta delle materie prime, la preparazione, l’esperienza dei cuochi, la presentazione e non ultimo il servizio. Per avere la certificazione tutto doveva essere conforme all’autenticità nipponica.
I criteri iniziali di giudizio erano così rigidi e inflessibili che si incominciò a parlare di “sushi police“.
Il comitato di valutazione era composto da esperti giapponesi e francesi e supportato dall’ufficio parigino del JETRO, l’Organizzazione Giapponese per il Commercio Estero.
Passato il clamore al momento dell’annuncio, le notizie sugli sviluppi dell’iniziativa si fecero più rarefatte. Poi il primo governo Abe cadde, e il ministro Matsuoka si suicidò, coinvolto in uno scandalo di mazzette.
Com’è finita la storia?
Certificato di qualità
Rispetto alla linea iniziale intransigente e repressiva le cose sembrano essersi ammorbidite. L’istituto per il commercio estero giapponese (JETRO) ha quindi optato per una linea di persuasione e promozione, da cui è nato il bollino “Japanese Food Supporter“.
I Requisiti
- “Capacità di promuovere il valore della vendita di cibo e ingredienti giapponesi di qualità, sicuri e affidabili.”
- “Essere in grado di ottenere cibo giapponese di qualità tramite contatti e comunicazione con le reti distributive giapponesi.”
- “Capacità di autopromozione attraverso la registrazione del proprio locale nell’elenco di ristoranti Taste of Japan promosso dal Ministero Giapponese dell’Agricoltura, Foreste e Pesca.”
I ristoranti e i negozi di alimentari in grado di soddisfare questi requisti possono essere certificati come “Japanese Food Supporter Store” e fregiarsi del logo su insegne e menu.
Il sito di riferimento è questo: https://www.jetro.go.jp/en/trends/foods/supporter/
Da qui si possono scaricare le linee guida e il modulo di richiesta per la certificazione.
Scorrendo tra i documenti si nota che si parla poco o niente di giudizi su preparazione, presentazione, servizio, ecc, ma ci si concentra quasi esclusivamente sulla provenienza dei prodotti. I ristoranti che vogliono aderire devono infatti utilizzare ingredienti e bevande di provenienza giapponese come sake e vino, e indicarne chiaramente la provenienza sul menu. L’intento del Ministero dell’Agricoltura Giapponese pare quello di incentivare le esportazioni riconscendo un valore aggiunto al prodotto originale giapponese.
Se non puoi sconfiggerli fatteli amici
L’idea è intelligente. Sapendo di non poter reprimere lo spropositato numero di falsi ristoranti giapponesi, si cerca almeno di sensibilizzare il cliente su ingredienti e bevande autentiche, instaurando un circolo virtuoso che si spera porterà prima o poi anche all’incremento della qualità complessiva. Ingredienti autentici sono costosi. Difficilmente i ristoranti certificati faranno le formule “all you can eat” che vediamo un po’ avunque, e dovranno, se vogliono tenere la clientela, adeguare la qualità al prezzo.
L’altro sito di riferimento è questo: https://www.tasteofjapan.jp/
Sono elencati i ristoranti che hanno ricevuto il “bollino di qualità”. Sono divisi per nazione e c’è ovviamente anche l’Italia. Non si può fare a meno di notare che mancano molti dei nomi storici.