Tōfu・豆腐

La parola tōfu ormai non è più un mistero per nessuno. La diffusione della cucina asiatica da una parte e dei cibi dietetici dall’altra hanno reso questo alimento se non di uso comune, almeno ampiamente conosciuto da tutti.
Il tōfu altro non è che il risultato del coagulo delle proteine della soia attraverso un procedimento non dissimile, mutatis mutandis, da quello per la preparazione del formaggio. Nel caso del tōfu tuttavia non si usa ovviamente il latte di mucca, o di pecora o di capra, ma il latte di soia, ossia una soluzione acquosa di proteine della soia e altri elementi in essa conotenuti, fatto rapprendere o, se proprio vogliamo continuare a paragonare il tōfu al formaggio, fatto cagliare con l’utilizzo del nigari, il caglio, un composto principalmente a base di cloruro di magnesio, ricavato dall’acqua di mare.
Le origini del tofu si fanno risalire alla cucina buddhista dove, per alcune correnti religiose, si arriva a un’eliminazione pressoché totale di qualsiasi prodotto di origine animale. Il tofu nasce con tutta probabilità in Cina e viene poi introdotto in Giappone assieme al buddhismo e alla scrittura ideografica attorno al VII-VIII secolo.
In Giappone esistono diverse varietà di tōfu, di varia consistenza e tessitura a seconda del metodo di preparazione. Il tōfu giapponese è piuttosto morbido e di pasta uniforme, simile per certi versi al budino, a parte il momen-tōfu che invece è un po’ più compatto e consistente.
Nella preparazione del tofu l’acqua è molto importante anche per determinarne la qualità. In Giappone, i luoghi più rinomati per la produzione del tofu, una tra tutte Kyoto dove molti sono i piatti a base di questo ingrediente, sono famose per le qualità delle loro acque, come spesso accade in Giappone, molto povere di calcare, ideali anche per la produzione di te e sake.
Anche in Italia da alcuni anni ci sono negozi che vendono il tōfu, in tetrapak o addiritura fresco, prodotto in chissà quali laboratori e con quali garanzie di igiene e salubrità, principalmente da cinesi. Ovviamente le diversità puramente organolettiche di questi tofu nostrani rispetto a quello giapponese originale stanno principalmente nella consistenza, molto più compatta e fibrosa, forse a causa del diverso quantitativo di nigari che viene utilizzato. Anche il colore tende ad essere più scuro, quasi grigiastro, rispetto al candido tofu giapponese.

Il tōfu può anche essere preparato in casa. Il procedimento è un po’ laborioso ma poi non troppo difficile e che vi permetterà di gustare un tofu sicuramente più salubre e simile a quello che si può gustare in Giappone. E’ infatti importantissima la freschezza del tofu per averne il massimo gusto. Vediamo passo passo la preparzione

Il Latte di Soia

La prima fase della realizzazione del tofu parte dalla preparazione del latte di soia puro.

Ingredienti:

  • 500g di fagioli di soia secchi (si trovano in tutti i supermercati)
  • 20ml di nigari (in Giappone il nigari è liquido e si vende nei supermercati in flaconi. In Italia, in alcuni negozi di prodotti dietetici e macrobiotici, si può trovare in cristalli, simile a sale da cucina)
  • stracci da cucina a trama fine, ben lavati e sciacquati per eliminare ogni traccia e aroma di detersivo.

Tutto naturalmente parte dalla soia che va messa in ammollo in acqua dopo averla lavata. L’acqua deve essere circa un litro e mezzo per 500g di soia. La soia va lasciata in ammollo per circa 8-9 ore. Se la temperatura è particolarmente fredda anche di più. Come riferimento si può tenere 15 ore circa in primavera ed estate, 20 ore in inverno.
L’acqua dovrebbe essere il più pura possibile. Meglio utilizzare un’acqua minerale oligominerale.
Frullate la soia rimasta in ammollo assieme all’acqua. Il mixer che userete dovrebbe essere abbastanza potente poiché la soia, man mano che viene sminuzzata, tende a diventare molto densa e pastosa. Aggiungere eventualmente un po’ d’acqua se il tutto dovesse risultare troppo denso e compatto. Si dovrebbe ottenere una consistenza il più cremosa e liscia possibile, non troppo densa.In una pentola molto capiente portate ad ebollizione 2 litri d’acqua. Quando l’acqua bolle versatevi la pasta di soia passata al frullatore e riportate a ebollizione a fuoco dolce mescolando di tanto in tanto in modo che non attacchi al fondo. Attenzione perché riprendendo il bollore il contenuto tenderà a tracimare piuttosto rapidamente. Spegnete il fuoco, riaccendete e fate sobbollire con il gas al minimo per dieci minuti mescolando di tanto in tanto e facendo attenzione che non debordi. L’odore del vostro composto andrà progressivamente cambiando. All’inizio sarà erbaceo, quasi acre, divenendo via via più morbido e sempre più simile, per chi vi ha confidenza, a quello del latte di soia.

Spegnete il fuoco e lasciate intiepidire. A questo punto, con l’aiuto di uno scolapasta e uno straccio da cucina filtriamo la nostra crema di soia. Foderiamo uno scolapasta abbastanza capace con uno straccio da cucina. E’ importante sciacquare abbondantemente lo straccio per eliminare qualsiasi residuo di sapone e odori che possano trasferirsi alla preparazione. L’ideale sarebbe avere un sacchetto fatto in tessuto in modo che il nostro composto non scappi fuori.
Con un mestolo trasferiamo poco alla volta il nostro frullato nel filtro che abbiamo costruito e chiudendo lo straccio aiutiamo il filtraggio strizzandolo senza far uscire la parte solida. Il liquido si andrà a raccogliere in una ciotola o in un’altra pentola capiente entro cui avremo posto lo scolapasta. Portiamo a conclusione il filtraggio spremendo le ultime gocce di latte di soia.


La parte solida che ci avanza nello straccio si chiama o-kara. Potete tenerla da parte e utilizzarla per altre preparazioni.
Torniamo al latte di soia. Quello che avete ottenuto è puro latte di soia, niente a che vedere con quello che già da diversi anni si trova nei supermercati e che è un miscuglio di ingredienti e aromi di cui la soia non è che una percentuale. Il latte di soia pronto che si trova in commercio in Italia non è utilizzabile per la preparazione del tōfu.Quello che invece avete voi è puro. E’ un alimento altamente nutritivo anche se per alcuni può avere un sapore un po’ forte. Può tranquillamente essere bevuto così, anche al posto del latte. E’ ricco di proteine e minerali. La seconda fase della preparazione del tofu è il caglio del latte ottenuto per mezzo del nigari.

Il Caglio

Proprio come per la preparazione del formaggio, anche per la soia la seconda fase della sua realizzazione è il caglio del latte di soia.
Mettete dunque il latte di soia in una pentola e riscaldatelo a fiamma dolce. Bisogna fargli raggiungere una temperatura di circa 80°. La temperatura è molto importante per determinare la consistenza del tofu. Se troppo bassa il latte farà fatica a cagliare, se troppo alta il tofu risulterà troppo duro. Se non si dispone di un termometro da cucina un buon metodo è quello di portare il latte al punto di ebollizione e poi mettere la fiamma al minimo e aspettare qualche minuto. In tutto queso è importante stare attenti a che il latte di soia non si attacchi al fondo. Con un mestolo giriamo di tanto in tanto.
Sul pelo del nostro latte di soia, proprio come con il latte di mucca, si andrà formando un velo più consistente, tipo la panna che si formava una volta sul latte non microfiltrato. E’ lo yuba, la parte più pregiata del tofu. Lavorato con tecniche particolari in modo da darlgli più spessore può essere utilizzato per raffinatissime preparazioni.

A questo punto entra in campo il nigari. In commercio in alcuni negozi di macrobiotica si trova anche in cristalli. In realtà, pur avendolo acquistato non l’ho ancora provato avendo a disposizioni vari tipi di nigari provenienti dal Giappone dove si trova in vari formati in qualsiasi supermercato.
Mettetetelo in un recipiente a allungatelo con un po’ d’acqua. Unite quindi il nigari al latte di soia e mescolate leggermente un paio di volte. Immediatamente vedrete il latte di soia cagliarsi raggrumandosi e separandosi in una parte solida e in una parte liquida. Spegnete il fuoco e incoperchiate lasciando il tutto fermo per 10 minuti circa.

A questo punto è importante dare forma al nostro tofu. Serve una forma possibilmente quadrata e rettangolare che abbia la possibilità di far uscire il siero in eccesso. Quella che uso e che potete vedere nella foto è fatta e una scatola rettangolare di 18X16X12 centimetri. Fondo e coperchio sono rimuovibili. Sul fondo, due asticelle sono attaccate perpendicolarmente alla lunghezza così che la struttura principale vi possa appoggiare sopra. Lateralmente sono praticati dei fori per lasciar passare il liquido in eccesso. Il tutto è realizzato in legno di hinoki, il pregiatissimo e profumato cipresso giapponese particolarmente resistente ai liquidi. La forma è molto semplice e ho già contattato dei falegnami locali per valutarne la riproducibilità, utilizzando magari legno di cipresso nostrano o rovere.

Poggiando la struttura principale sul fondo, si fodera la nostra scatola di legno con un tessuto leggero in cotone, cercando di farlo aderire bene su angoli e spigoli e di ridurre le pieghe che incevitabilmente si formeranno.

A questo punto torniamo alla nostra pentola dove il tofu si sarà ormai completamente rappreso. Con un mestolo lo travasiamo nella nostra forma foderata di tessuto cercando di distribuirlo uniformemente in tutti gli angoli della nostra forma. Uscirà molto liquido di scarto ed è quindi bene compiere l’operazione sullo scolatoio del lavandino o su di un piatto ampio e capiente in modo che non si versi tutti il siero.

Una volta riempita la nostra forma ripieghiamo i lembi del tessuto e posizioniamo il coperchio mobile.Sul coperchio posizioneremo quindi un peso che compatti il tofu e faccia uscire il siero in eccesso. Non dovremmo esagerare con il peso per evitare di rendere troppo compatto e quindi duro il tofu. Un chilo circa dovrebbe essere sufficiente. Nella foto sto usando un mortaio da pesto alla genovese in marmo di carrara, forse eccessivamente pesante.

Lasciate il tofu sotto il peso e, smontando la scatola estraete il tofu ancora avvolto nel suo tessuto e ponetelo in una ciotola capiente piena di acqua fresca. Attenzione a non scottarvi poiché il tofu sarà ancora molto caldo. Lasciatelo in acqua fredda ancora avvolto nel suo tessuto per una mezz’ora, cambiando l’acqua di tanto in tanto.
A questo punto il tofu dovrebbe essersi sufficientemente rappreso per essere tolto dal tessuto che lo avvolge. Immergetelo nuovamente in acqua che cambierete ancora un paio di volte per eliminare i residui di nigari.
Il tofu si conserva in frigo immerso in acqua.


Il tofu può essere mangiato così com’è, condendolo con un po’ di salsa di soia, magari un po’ di ponzu, kazuo ed erba cipollina.
Il tōfu è inoltre ingrediente di varie ricette, viene spesso impiegato nella preparazione del nabe, tagliato a cubetti e fritto nell’agedashi-dōfu, messo nella zuppa di miso, ecc. A Kyoto dove il tofu è considerato tra i migliori del Giappone, uno dei piatti principali è lo yu-dofu, piatto che nella sua semplicità permette di apprezzare il tofu in tutta la sua delicatezza. Il tofu viene tagliato a cubetti e servito immerso in acqua bollente dalla quale lo si “pesca” con degli appositi cucchiai in rete metallica che lo scolano. Un piatto estremamente difficile da consumare in quanto il tofu tende a conservare la temperatura interna molto a lungo. Il rischio di ustioni a lingua e palato è altissimo….
Vi è anche una catena di ristoranti in Giappone, Ume no hana, che serve solo piatti a base di tōfu e yuba, dall’antipasto al dolce. Per quanto possa sembrare un alimento leggero, l’alto contenuto di proteine e fibre, lo rende piuttosto sostanzioso.